Ciao,
ho un annuncio da fare: da questa puntata, Qualcosa triplica le sue uscite.
C’era il bisogno di prendersi più spazio, fare in modo che le parole e i disegni non si perdessero, e darti il tempo, a te che la leggi, di farlo per bene. Ho rivisto il suo formato, fatto dei piccoli aggiustamenti. Mi sembrava un bel regalo da farmi per i tre anni di Qualcosa (!).
Inizi
Questo anno ho sbloccato un nuovo livello della mia vita da genitrice: la scuola dell’obbligo con l’ingresso in primaria di mia figlia. Già a settembre, avevo iniziato a prenderne nota, ma ero per lo più sopraffatta dalle emozioni di vederla diventare grande - ancora una volta - e di assistere alle varie conseguenze, su di lei e su di me, di questa tappa fondamentale: l’ingresso a scuola è un inizio di cui lei avrà memoria per molti anni, un pezzo della sua storia personale, come lo è stato per me, e per chiunque altrǝ. Perché è tra i banchi che iniziamo a capire chi siamo, anche e soprattutto in relazione a chi ci circonda. A scuola non solo si impara la storia e la matematica: si entra con tutti i piedi, e le scarpe, dentro la società, imbattendoti in giudizi e pregiudizi, con le diversità e la marginalità sociale, ma anche con tutte quelle emozioni e stati emotivi, che ci accompagneranno per la totalità della vita, come la vergogna, la gelosia, l’amore, la compassione, la colpa, l’insicurezza, la paura.
Nel viverlo con lei, mi è tornato addosso il mio primo giorno, e quelli successivi: il grembiule e il fiocco rosa, la coda alta, i visi delle maestre, il calcio che una di loro si prese da A. che aveva un sacco di problemi in famiglia.
Mi ricordo le penne cancellabili e le loro gomme che si sbriciolavano tutte, di come ho scoperto che per alcune persone il mio amico I. era nero, e quindi diverso. Mi ricordo di quella bambina arrivata a metà anno da Macomer, l’unica con i genitori separati, che mi dava i pugni sotto al banco per non farsi vedere dalla maestra, che non mi ha mai voluto credere quando le dicevo che mi picchiava.
Mi ricordo mia madre nel sottoscala che discute con la direttrice per convincerla a non farmi fare religione. Ricordo di come mi sono subito invaghita di M., e di come mi ha fatto capire che non ero bella quanto V., che però era meno brava di me a scrivere e a leggere. La sua grafia era tutta sbilenca, la mia, bella, tonda, mai incerta, con i ricetti delle a e delle o impeccabili. Alzavo sempre la mano per leggere a voce alta i brani del sussidiario: leggevo fluida, mai cantilenante, conoscevo bene la punteggiatura, facevo le pause al punto giusto. Era la mia cosa preferita, insieme all’acqua e zucchero della bidelleria quando avevo il mal di pancia.
E io, non so perché, mi ero convinta che mia figlia sarebbe riuscita subito a scrivere, a ricordare l’alfabeto a memoria, ad amare la lettura ad alta voce, a non essere presa in giro, a non soffrire per colpa di compagnз, o maestre. Mi sono accorta che stavo cercando una replica, e invece avevo di fronte un’altra storia, la sua.
Quando, in terapia, ho capito di star facendo un paragone, insensato e anche insensibile, tra me e lei, ho cercato di aggiustare il tiro. Ho iniziato a esercitare pazienza durante i compiti, ad aiutarla a sentirsi sicura silenziando la mia sete di perfezionismo, ho sospeso il giudizio, cercato di convalidare sempre le sue emozioni, e gestito le mie rispetto alle cose negative che viveva, facendo attenzione a non sminuire il metodo delle maestre, o a darle consigli avventati su come difendersi.
Non è stato facile. Ho sbagliato più di una volta, ma se ho capito qualcosa è che lei non è me. Eppure, qui non si tratta solo di noi.
Come sta la Scuola?
In questi 35 anni la scuola italiana è stata scomposta, svuotata, da un susseguirsi infinito di riforme che invece di aggiustarla l’hanno resa più ingiusta, più stanca, più fragile, con crepe sparse qua e là. Freschissime sono poi le Nuove Indicazioni per la Scuola dell’infanzia e Primo ciclo di istruzione pubblicate dal MIM, che trascineranno la scuola, e la società tutta, a un arretramento culturale, pedagogico e storico.
Sono certa che non vi stupirà sapere che neanche queste indicazioni fermeranno il patriarcato: l’educazione sessuo-affettiva non viene nominata, l’educazione al genere e alle differenze, citata una sola volta come educazione alle differenze di genere, viene vista dal MIM come una palestra per capire la “complementarità delle rispettive differenze”, che aiuterà bambine e bambini a sviluppare “sani anticorpi di contrasto di quella triste patologia che è la violenza di genere”. Basterà
E noi che ci siamo spaccatз la testa per cercare di risolvere la questione quando bastava così poco! Poi certo, i libri di testo, nonostante siano passati vent’anni dal codice di autoregolamentazione Polite per le pari opportunità, continuano a essere androcentrici, quando non esplicitamente sessisti. Le figure femminili sono spesso rilegate in box a fondo pagina, descritte come personalità “straordinarie”.
In questo modo l’eccezionalità diventa una nuova forma di marginalizzazione di genere. Alcune scrittrici sono relegate in cornici dai colori sgargianti ma non entrano a far parte della narrazione vera e propria, rimanendo comunque fuori, senza un’innovazione del canone letterario. Spia di ciò è il linguaggio che continua ad essere declinato secondo il maschile sovraesteso.
Più donne nei testi scolastici e un nuovo linguaggio, Indici paritari in Facciamo scuola. Oltre l’istruzione patriarcale, DWF
Sono numerose le persone che sostengono che il maschile in fin dei conti parli a tuttз, ma quanto può essere violenta la scelta da parte del MIM di intitolare un paragrafo Insegnante professionista, e anche Maestro quando di circa 700mila insegnanti, che lavorano dall’infanzia alla secondaria di secondo grado, ben l’82% è di genere femminile? Non è un caso, ovviamente.
Il lavoro femminilizzato delle insegnanti va avanti dagli anni ‘60, e da allora si è intrecciato con un pensiero diffuso che lo vede come “un lavoro da donne”, anche sottolineato dall’uso dei termini missione e vocazione per descriverlo. Queste insegnanti ce le aspettiamo sempre sorridenti, amorevoli, pazienti, accudenti quindi materne: dovrebbero non solo educare, ma prendersi cura delle/dei bambinз, come se fosse parte naturale del loro essere donne. L’abbraccio tra maestra e bambinǝ, per esempio, viene visto da tantз come una specie di attestato di validità di quel rapporto. A me è bastato essere protagonista dell’incontro casuale tra un’insegnante e delle bambine in un giorno off di scuola: sepolta dagli abbracci di 3 creature e dall’evidente gioia da parte dalle madri, sono stata la sola ad accorgermi che la maestra voleva congedarsi, svincolandosi da quell’eccesso di affetto per tornare alla sua normalità.
Come racconta bene Elisa Amato di Cattive Maestre in un articolo pubblicato su Effimera, il corpo delle insegnanti viene continuamente attraversato da aspettative e richieste implicite: essere rifugio, essere esempio, essere contenitore delle nostre paure e ansie di genitori. Ma sono lavoratrici, non madri, non missionarie. La scuola si regge anche e soprattutto su quel corpo, un corpo che lavora, che si stanca, che non è un ponte solo per i nostri figli ma anche tra ciò che la società non riesce o non vuole fare. Un corpo precario, costretto non solo a educare ma anche a ricoprire ulteriori ruolo di coordinamento, di progettazione retribuiti in modo forfettario. Perché l’istruzione è spesso il primo ambito da cui si tagliano i fondi pubblici e le scuole devono partecipare a bandi per la qualunque - per avere un orto scolastico, un laboratorio, per comprare materiali, attrezzature - lasciando il lavoro di progettazione, di ricerca fondi e partecipazione ai bandi proprio al corpo docente.
E noi genitori? Qual è il nostro posto, dentro questo sistema scassato, eppure così cruciale? Siamo sicuramente una fauna molto interessante, questo va detto: in questi otto mesi ne ho viste e sentite di ogni, e ho avuto modo più volte di accorgermi che molte delle mie idee su persone e cose non erano vere. Ma credo anche che ognunǝ faccia ciò che può, ma anche ciò che vuole.
Io e mio marito, per esempio, nonostante due scuole vicinissime a casa, ne abbiamo scelta una a 10 minuti circa di camminata perché l’avevamo scelta ancora prima che Lila nascesse: per tutte le voci che avevamo sentito, per le persone che conosciamo che l’hanno frequentata e che ancora la frequentano, per tutte le attività extra che si fanno e per quel meraviglioso giardino bosco tutt’attorno. L’abbiamo scelta perché è anche la scuola dove Simonetta Salacone ha rivoluzionato l’educazione scolastica in periferia, lasciando come eredità una scuola che può tutto, una scuola partecipata: non si fa parte solo di una classe ma di una comunità educante.
E io che, dopo due anni alla scuola dell’infanzia, avevo deciso di non fare la rappresentante di classe mi sono ritrovata dentro al Comitato Genitori di un’Istituto Comprensivo che comprende 2 scuole dell’infanzia, 3 primarie, e una secondaria con due diverse sedi. Ovviamente mi viene da ridere in maniera isterica al solo pensiero di aver fatto questa scelta, ma in fin dei conti lo volevo fermamente: è il mio modo di fare politica, di occuparmi dei problemi che la scuola, e quindi la nostra società, stanno vivendo. E le Nuove Indicazioni lo dicono a ogni parola scelta: saranno tempi bui.
Smettiamo allora di idealizzare la scuola. Non è un luogo neutro, non è al riparo dai nostri conflitti, né dalle nostre mancanze. È uno dei pochi spazi che ancora oggi, ogni mattina, tiene insieme il presente e il futuro e smettere di lottare per lei significa arrendersi al patriarcato, e al passato che insistentemente cerca di tornare. E questo, forse, dovrebbe riguardarci molto più di quanto siamo abituatз a pensare: chi delega la scuola, sta rinunciando a cambiare il mondo.
Sto lavorando alla bozza definitiva di una nuova illustrazione per una newsletter che parla di genitorialità. Non vedo l’ora di finirla perché quando esce un mio disegno nel mondo io mi sento sempre molto felice.
Insieme a
stiamo lavorando a un servizio di consulenza dedicato a chi vuole mettere su una newsletter: se hai questa intenzione e vorresti saperne di più puoi scrivermi per essere inseritǝ in lista.Sto disegnando una serie di mostri che non ho ancora ben chiaro come userò: per adesso mi rilassa così tanto disegnarli che è un po’ il mio esercizio di meditazione.
Se vuoi fare una call conoscitiva con me per capire come la Clinica Digital può aiutarti, puoi prenotare direttamente il tuo slot qui: è gratis, dura 30 minuti e potrebbe risolverti un sacco di beghe e problemi.
Sono molto felice di essere riuscita a scrivere questo numero a cui tenevo molto e che mi ha fatto faticare non poco. Sono molto soddisfatta e spero possa piacerti.
Se vuoi saperne di più riguardo le Nuove Indicazioni, oltre al testo originale, a questo documento - scritto in protesta dal CdG del nostro Istituto - trovi numerosi articoli dove approfondire: ti consiglio soprattutto gli appunti di Scosse, l'articolo della Società Italiana delle Letterate e quello della Società Italiana Storiche. Occuparsene, adesso, è davvero importante.
Per raccontarmi qualcosa sui tuoi ricordi di scuola o per dirmi se questa puntata ti è piaciuta puoi scrivermi qui. Se leggi da app, puoi lasciare un cuore e condividere questa puntata con chi potrebbe essere interessatǝ.
A
Sono Alice Fadda, un’illustratrice che disegna di tutto, anche strategie per comunicare online: ho aperto una Clinica digital, un pronto soccorso per chi vuole tanto comunicare online ma non sa dove mettere le mani. Scrivimi per capire se posso aiutarti, nel frattempo qui sotto trovi i miei servizi.
Qualcosa è gratuita ma richiede davvero tanto lavoro: se ti va puoi lasciarmi una piccola o grande offerta per sostenere questo progetto e il lavoro che c'è dietro offrendomi un caffè o un tramezzino. Grazie.
La scuola non sta benissimo, è una grande verità e chi sta dall'altra parte della cattedra (come me) spesso sente il peso di questo lavoro che il mondo vive un po' come una missione umanitaria: le/i docenti devono tenere duro, restare fedeli a loro stessi, fare ciò che fanno per passione e se poi capita anche uno stipendio ringraziare e baciare a terra a prescindere. E qui ci sarebbe un'enorme gigantesca parentesi da aprire a riguardo, e tu hai perfettamente spiegato come questa condizione sia strettamente legata anche alla presenza prevalentemente femminile nel corpo docenti, e a come anche questo venga percepito come un lavoro di cura, in cui devi essere sempre sorridente e accogliente, anche se non ti pagano per tre mesi e ti imbottiscono di lavoro extra che altrimenti non si saprebbe proprio a chi far fare. Dovrebbe riguardarci un po' tutti il mondo della scuola, gioverebbe soprattutto a chi su quelle sedie ci resta seduta/o per ore senza averlo chiesto in fondo, che ci siano in giro genitori come te e tuo marito mi fa comunque ben sperare! Un abbraccio 💕
Avrei tante cose da dire ma fatico a esprimerle brevemente e senza fare il qualunquista. Condivido ogni parola scritta sulla scuola, con l'amara constatazione che spesso i genitori (e i rappresentanti dei) invece di avere un ruolo attivo e propositivo si intromettono nella didattica senza averne titolo. Io non sopporto chi mi dice come fare il mio lavoro senza averlo mai fatto e soprattutto senza sapere in cosa consiste, immagino che per la maggior parte degli insegnanti sia lo stesso quando si trovano di fronte ingerenze eccessive.
Per fortuna Primaria e Secondaria di primo grado qui a casa le abbiamo superate... non invidio chi inizia adesso il percorso.