Questa pagina bianca davvero non so come riempirla.
Non che non abbia cose da dire, ma davvero non so come dirle. Da una parte sento che vorrei esondare come un fiume e lasciare sparsi i pensieri che in queste settimane, giorni, hanno abitato la mia testa come detriti. Dall’altra vorrei farmi come burrito con le lenzuola e stare in silenzio, immobile, ad aspettare che tutto sia passato. Tornarmene nel mio cazzo di privilegio bianco occidentale, senza senso di colpa per essere nata qui e non là , a Gaza.
Qui va tutto bene. I palazzi stanno su, abbiamo cibo, benzina, corrente elettrica, acqua, internet. Le bambine e i bambini vanno a scuola, non sono sotto le macerie.
Il rumore è quello solito del mio quartiere: c’è quasi silenzio in confronto al suono costante delle ambulanze, dei razzi, delle urla che ho sentito nei video che girano sui social. Perché stavolta ho guardato tutto quello che potevo guardare, e reggere.
Quando ci fu l’attacco in Ucraina non riuscivo a leggere e guardare nulla. Aprivo Instagram e lo richiudevo. Vivevo con ansia, pensavo a piani di riserva, a dove ci saremo potuti nascondere, feci anche il passaporto a Lila per avercelo pronto.
In quel periodo stavo per lanciare questa newsletter e per settimane mi sono interrogata se fosse giusto, se fosse il momento.
Questa volta, però, non distolgo lo sguardo. Leggo, guardo le immagini, seguo account che manco sapevo esistessero perché non sono mai entrati in contatto con la mia bolla, come Karem Rohana, che racconta da sempre le notizie che arrivano dalla Palestina: i pogrom, le occupazioni abusive delle case dei palestinesi da parte dei coloni, le detenzioni amministrative, i soprusi e gli assassini di cui i palestinesi sono vittime. Poi c’è anche Bisan Owda, content creator e filmaker che vive nella striscia di Gaza e che sta raccontando con i suoi occhi ciò che lei e la sua famiglia, e il suo quartiere stanno passando, in una continua lotta con la sopravvivenza. Nei giorni in cui è stato disconnesso internet* ho controllato ossessivamente il suo profilo per vedere se fosse ancora viva. Quando è tornata a pubblicare ero felicissima di rivederla, tanto da urlare di gioia, come se avessi avuto notizie da un’amica lontana. Ieri ha postato questo video dove ci chiedeva di goderci la nostra vita al massimo, di non perderci niente, di stare vicinз alle persone che amiamo. Ecco facciamolo, perché adesso siamo al riparo, sani, vivз, ma del domani non c’è certezza.
[* le notizie di oggi raccontano che la connessione internet sia stata staccata nuovamente. Bisan non ha ancora pubblicato e spero lo faccia presto.
A mio modo, pregherò per lei.]
Questa volta non distolgo lo sguardo ma se tu invece si, va bene così. Le immagini che stanno circolando sono fortissime, e dolorosissime e dobbiamo difenderci.
Credo che da queste settimane mi porterò dentro la testa due immagini su tutte.
La prima è una foto di una piccola folla che osserva le macerie dei palazzi sventrati, dissolti, spezzati in mille frammenti. Tutto è grigio, ricoperto di polvere. Al primo sguardo sembra una foto in bianco e nero, poi ti accorgi che la folla indossa abiti colorati. La seconda l’ho disegnata forse per renderla meno reale. Non è servito.
Nel frattempo le domande senza risposta continuano a frangersi come onde: finirà ? quando finirà come sarà ? Riusciranno a ricostruire i palazzi, e i loro cuori frantumati? Restano là , appese. Nessuno può rispondere meno che mai io. Per citare la scrittrice Espérance Hakuzwimana: c’è un genocidio in corso e io non sto bene.
Un’ultima cosa se anche tu ti senti impotente puoi fare una donazione ai vari enti che operano in Palestina come Medici senza frontiere e Action Aid oppure al Palestine Children's Relief Fund.
Ottobre non ha rallentato il suo ritmo: diverse persone hanno chiesto il mio aiuto e io sono davvero grata di aver collaborato con loro e di aver visto dei progetti prendere forma. Ho lavorato con delle insegnanti di una Scuola dell’Infanzia, che hanno progettato una newsletter per dialogare con i genitori raccontando le giornate, le attività , i progressi delle bambine e dei bambini a cui insegnano. Le ho aiutate a impostare l’account Substack, e creare il template, le illustrazioni e a inviare il primo numero. Presto inizieremo anche la formazione. Lo stesso lavoro lo farò anche con Serena (mistero! Tu sai chi sei) ma torno a parlarvene a tempo debito.
Sono felice che stiano arrivando tante collaborazioni nuove e diverse ma mi piacerebbe anche riuscire a trovare il tempo per poter raccontare il mio lavoro, i miei servizi, per far capire meglio alle persone che cosa faccio. Tu, per esempio, lo sai cosa faccio? Ti va di farmelo sapere? Scrivimi a qualcosa@alicefadda.com.
Ho appena finito La cagna di Pilar Quintana: la scrittrice Paola Soriga, durante la chiacchiera con Strategie Prenestine al Festival Inquiete, lo ha consigliato con così tanto trasporto che non solo l’ho comprato ma me lo sono anche fatta autografare dall’autrice. Un libro davvero cattivo e doloroso, sulla maternità , quella mancata, quella animale. Non dico altro.
Sto leggendo la graphic novel Bone di Jeff Smith: finalmente!
Leggerò Ogni mattina a Jenin di Susan Abulhawa: una saga familiare che attraversa 60 anni della storia palestinese, che mi farà versare lacrime calducce, già lo so.
Netflix si sa, segue le correnti, ma mai come questa volta sono stata super felice di scoprire nella home MO, serie uscita nel 2022, creata* e interpretata dal comico americano palestinese Mohammed Amer. Mo è un ragazzo di origini palestinesi, nato in Kuwait e arrivato a Houston, Texas, per scappare dalla Guerra del Golfo insieme alla sua famiglia: da 20 anni aspettano di vedere accettata la loro richiesta d’asilo, tra burocrazia lentissima e assurdità di ogni genere. Mo nel frattempo si barcamena tra mille lavoretti, alcuni dei quali poco legali, che lo trascineranno in un tunnel di eventi al limite del surreale, che mi hanno ricordato la serie Weeds.
Ho amato moltissimo che Amer sia stato in grado di mostrare non solo il suo punto di vista (perché tenetevi forte quello che vedrete è davvero la sua storia) ma anche quelli di altre minoranze etniche che quotidianamente vivono ingiustizie sociali di ogni genere. Ti consiglio, dopo aver finito la serie di guardarti anche i due speciali che trovi sempre su Netflix: The Vagabond e Mohammed in Texas. Quest’ultimo non solo ti farà scompisciare dalle risate ma ti insegnerà varie cose (tipo a mangiare per bene l’hummus) e ti regalerà un finale a sorpresa meraviglioso (con lacrime).
Eccoci qua, alla fine del primo numero su Substack. Forse me lo ero immaginata diverso ma ne sono davvero orgogliosa e felice. Di averlo scritto, di aver trovato il tempo di disegnare, di consigliarti qualcosa che ti cambierà un po’ lo sguardo, come lo ha cambiato a me. Grazie per avermi letta e se ti va di dirmi se ti piace questa nuova casa, oppure no, aspetto i tuoi feedback.
Alla prossima Qualcosa!
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Questo nuovo esordio di Qualcosa ti è venuto proprio bene. Sono molto contenta di averti incontrata.
Grazie Alice, per queste parole. Mi sono sentita meno sola nel mio senso di colpa. Meno sola nella mia necessita di guardare, di sapere, di urlare la rabbia e il dolore.
Io ho praticamente smesso di usare i social se non per condividere quello che in troppi non vogliono guardare, e in parecchi mi hanno chiesto come mai ME LA PRENDO TANTO... Me la prendo, Dio se me la prendo! Talmente tanto che ho aperto una newsletter proprio perché avevo bisogno di parlare di questo dolore che non è mio ma che sento nelle ossa e nella carne. Ti capisco, ti sono vicina e ti ringrazio. Buona fortuna con questo progetto.