Ciao,
non mi sento tanto bene e tu?
Ho pensato tanto se fingere e raccontartela - raccontandomela - ma non ce la faccio.
Avevo un calendario editoriale da seguire ma non ci riesco. Vorrei scrivere, leggere, ma non posso. Quello che è accaduto domenica scorsa a Rafah è l’ennesimo punto di non ritorno per l’umanità intera. Possiamo girarci dall’altra parte, fingere di non sapere, ma non servirà: l’inimmaginabile ha smesso di esserlo.
L’inimmaginabile per me è un uomo che si aggira tra le fiamme e le ceneri tenendo tra le mani il corpo di un bambino senza testa. Un’immagine che ho guardato pensando e sperando fosse finta, e invece ho poi dovuto ammettere alla mia coscienza, appunto, l’inimmaginabile. Non è servito chiudere il video e provare a evitarlo con tutte le mie forze: ormai quella immagine mi si era appiccicata addosso, aggiungendosi alle altre viste in questi mesi. Poi Leo Ortolani e Mario Natangelo l’hanno disegnata perché le persone potessero vederla. Osservarla. Metabolizzarla. Ricordarla. E come altrз, l’ho disegnata anche io. Credo di averlo fatto anche per liberarmene, o per trasformarla in qualcosa di più innocuo - e no, non ci sono riuscita.
L’inimmaginabile ha smesso di esserlo, a tal punto che in questi giorni l’attenzione verso quel pezzo di mondo sta aumentando. Ne è un esempio la grafica con la scritta ALL EYES ON RAFAH, che in questi giorni è stata condivisa da oltre 47 milioni di persone, numero in continua crescita. Vedere le storie di questi giorni susseguirsi tutte uguali è stato davvero di effetto: ho avuto la sensazione che fossimo concentratз tuttз sullo stesso dolore, di essere unitз nell’impotenza e con un solo e unico pensiero angosciante, vicinз e disperatз.
Poi però si è aggiunto anche il senso di colpa perché nella mattina di mercoledì una buona parte dei social, formata prevalentemente da attivistз, ha puntato il dito contro chi aveva ricondiviso quell’immagine nelle proprie storie. Perché?
Di solito non amo fare polemica e farmi prendere dal flame ma stavolta, oltre al senso di colpa, ho provato davvero tanta rabbia. Mi sono davvero stufata di abitare degli spazi online dove ogni tre secondi devo patire emozioni contrastanti a causa di qualcunǝ che si sente più purǝ di me, più bravǝ di me, più cool di me. E so bene, che come me, tante altre persone hanno provato senso di colpa, fastidio e rabbia (e le ringrazio di cuore di avermi scritto: Agnese P. e Agnese B., Angela, Elisa, Roberta, e Serena).
I social sono un luogo contraddittorio: li abitiamo per condividere un messaggio - che può andare dal mostrare il piatto della domenica alla divulgazione, alla vendita di prodotti all’intrattenimento - con più persone possibili, e tuttз abbiamo la speranza che questa platea diventi sempre più ampia. C’è chi lo fa consapevolmente, chi finge di non farlo, e chi non sa cosa sta facendo e perché, ma il gioco dei social è quello di essere vistз: inutile negarlo. Possiamo credere di avere il certificato di purissima purezza ma anche scegliere di girare un reel, per fare un esempio, è in linea con le dinamiche social più basilari, e significa quindi seguire un trend, anche se utilizzato per fare polemica: e non è forse un trend anche questo?
Trovo davvero incredibile che non si comprenda la potenza di un’immagine che viene ricondivisa da milioni e milioni di persone su una piattaforma in cui l’algoritmo vieta i contenuti politici, e che da mesi oscura i profili di chi parla di Palestina. Probabilmente è un pensiero che mi viene facile essendo un’addetta ai lavori ma anche chi fa attivismo social, e quindi lavora con la comunicazione, dovrebbe capirlo.
Per me poi, quella condivisione, rimane comunque potente anche se la maggior parte di quelle persone domani non ne parlerà più. Nella data del 28 maggio le ricerche Google su Rafah sono schizzate a oltre 1 milione solo in Italia (lo racconta qui Serena Battistoni). E se anche per solo 3 secondi una di quelle persone ha pensato alla Palestina secondo me dobbiamo esserne tuttз contentз. E sarebbe bello, e utile, che chi fa attivismo sui social sapesse educare, divulgare, informare, senza giudicare, e tenesse a mente che le persone che abitano gli spazi online non sono tutte uguali perché i contesti in cui vivono, il loro livello di educazione, le loro possibilità e soprattutto le energie che possono dedicare alle cause ci sono sconosciute, perché i social non sono la vita vera.
Ho parlato per la prima volta di Palestina dentro Qualcosa a novembre 2023 e torno a farlo adesso, dopo 6 mesi. Questo non vuol dire che non averne parlato negli spazi online che vivo abitualmente significhi non averci pensato ogni giorno o che non abbia avuto dialoghi sul genocidio in corso nella mia vita privata. Anzi.
Ma davvero vogliamo portare avanti una battaglia per decidere chi è più puro?
Amicз, la dura verità è che nessunǝ di noi lo è. E invece di accusarci esortiamoci a mantenere l’attenzione, gli occhi puntati su ciò che sta accadendo e condividiamo liste di libri da leggere, profili da seguire, aggiornamenti, modi per smettere di sentirci impotenti come le donazioni, se abbiamo possibilità economiche per farle: il profilo migliore dove trovarle e da cui iniziare è sicuramente quello di Watermelon Friends Italia, che ringrazio per il lavoro enorme e prezioso che sta portando avanti.
Vi auguro di restare umanз (soprattutto sui social) nonostante l’inimmaginabile.
Lo scorso mese ti avevo anticipato di aver disegnato per Italia | Mondo, la newsletter di
: l’hai vista la mia mappa di Tokyo? La trovi qui sotto:In questi giorni sono anche uscita dalla mia comfort zone partecipando (insieme al mio compagno Federico) a un’open call per ridisegnare il logo di un progetto molto bello, ma sono scaramantica e non vi dico di più: incrociate le dita per noi.
La Clinica digital è sempre operativa: scopri se posso fare qualcosa per te.
Questo mese non ho letto nulla, ahimè. Uso però questo spazio per consigliarti due albi illustrati che ho scoperto grazie a una lettura nella scuola primaria in cui andrà mia figlia il prossimo settembre: Salam e i bambini che volevano giocare di Gianluca Staderini e Un monde palestinien di vari artistз, a cura di Katy Couprie.
Solitamente in questo spazio parlo di serie e podcast e invece stavolta vorrei fissare qui un qualcosa di bellissimo che ho fatto a inizio mese: sono andata a prendermi un caffè con Karla Dueñas, illustratrice messicana che ho intervistato per Illustrami a marzo scorso. Chiacchierare con lei dal vivo è stato davvero molto bello, anche perché mi ha aiutato moltissimo con un’idea a cui vorrei dare presto forma. E poi mi ha fatto un piccolissimo ritratto che ho fieramente appeso alla parete della mia stanza.
Spero vivamente che questo numero possa diventare un dialogo aperto con più persone possibile, non solo sulla querelle di cui sopra ma anche in maniera più ampia sull’attivismo social e sull’abitare le varie piattaforme. Commenta qui sotto, o lascia un cuore per farmi sapere che ne pensi. E, visto il momento difficile che stiamo affrontando, se c’è qualcosa dei social che ti crea dubbi, confusione, puoi confidarti con me scrivendomi qui: ti ascolto volentieri.
Ci leggiamo fra qualche settimana con l’edizione piccola.
Grazie per avermi letta.
Qualcosa è gratuita ma richiede davvero tanto lavoro. Se ti va puoi lasciarmi una piccola o grande offerta per sostenere questo progetto e il lavoro che c'è dietro offrendomi un caffè o un tramezzino. Grazie.
BRAVA. ❤️