Qualcosa sul perdersi
Ciao,
Ho girato attorno al tema di questo numero di Qualcosa per settimane, e ancora adesso non sono certa di averlo centrato del tutto. È come quando ti svegli nel bel mezzo della notte alla ricerca di quella maledetta zanzara che continua a ronzarti nelle orecchie: tu sai che c’è ma lei non si lascia vedere. Ecco, la zanzara è stata l’idea persistente che ha continuato a ronzare, a farmi venire i ponfi ma senza che io riuscissi ad acchiapparla.
Mi chiedo: ha senso raccontare questa difficoltà? Ha senso raccontare di essere bloccata, di aver perso la bussola e di non riuscire a trovare la strada giusta?
Qualche settimana fa pensavo che fosse un enorme sbaglio, anzi a dirla tutta pensavo fosse proprio controproducente.
“Oh, sei una comunicatrice digitale, tu non dovresti avere problemi del genere, è il tuo lavoro!” ripeteva la simpatica vocina che vive nella mia testa, sottintendendo anche che avrei dovuto provare un pelo di vergogna: la sentite anche voi la campana seguita da shameshameshame in sottofondo? E poi che noia è leggere di una che non ce la fa, che sta là a inseguire matasse di pensieri senza riuscire ad acchiapparne manco mezzo?
Poi, leggendo l’ultima newsletter dell’illustratrice Susanna Rumiz, ho cambiato idea. La sua è una newsletter settimanale dove condivide le gioie e i dolori di essere freelance, raccontando soprattutto il continuo approcciarsi a insicurezze e sindrome dell’impostore. L’ultimo numero si intitola e sembra scritta per me. Nel descrivere i momenti in cui tutto sembra andare malissimo Rumiz scrive: There's nothing wrong with you. It's just that no one talks about this part of the process. We usually see only the final success and not all the messiness in between. BUM!
La mia testa è letteralmente esplosa. Ho rivisto un'infinita carrellata di volte in cui, sui social soprattutto, mi sono imbattuta in uno di quei post celebrativi sul raggiungimento di un obiettivo o sul lancio di un progetto creativo senza sapere nulla di come quella persona fosse arrivata là e credendo fosse stato facile arrivare, farcela, riuscirci. Perché la verità è che siamo abituatз a vedere il progetto bello e finito, magari provando anche una certa invidia, senza avere la minima idea di tutto quello che c’è stato in mezzo.
Ve lo dico io cosa c’è in mezzo: c’è la pagina bianca che non si riesce a riempire, l’idea che non si fa acchiappare, le matasse di pensieri aggrovigliati, fogli scarabocchiati e appallottolati, pile di quaderni e strade che sembrano scorciatoie e invece sono molto più lunghe di quello che ci aspettavamo. C’è il disordine, ecco. E poi c’è anche la paura. E già.
Se ho cambiato idea, e se questa puntata sta pian piano prendendo una forma, è anche grazie agli ultimi due sabati trascorsi ad ascoltare Valentina Aversano parlare a una platea di donne (+ un uomo: ciao Federico!), iscritte alle sue due Masterclass su newsletter e blog. Durante i due corsi mi sono resa conto che il processo creativo segue un pattern simile nella maggior parte delle persone. Appena si arriva all’idea giusta, dopo aver schivato ostacoli e auto sabotaggi vari, il processo creativo si blocca di nuovo per la paura. Di cosa? Della qualunque: dal “non ho nulla di interessante da dire” al “non mi leggerà nessuno”, passando per “non riuscirò mai a essere costante”.
È successo anche a me, e continua a succedermi, anche se sembra andare un briciolo meglio, essere più gestibile ogni volta. Affronto le paure, combatto gli auto sabotaggi, tento di silenziare quella vocina che vorrebbe vedermi demordere, ripetendomi che è normale sentirsi perse, bloccate, e con i pensieri tutti in disordine, perché fa parte del processo creativo. Sapere di non essere sola, sapere che altre persone combattono per arrivare alla fine del livello come me è davvero importante.
Ora so, che se anche mi sembrerà di aver perso la bussola e di vagare faticosamente nelle lande della creatività prima o poi arriverò alla meta. Ne è un esempio eclatante, scoperto qualche giorno fa, il traguardo del prossimo mese: Qualcosa compie un anno!
Sono incredula e felice: ho mantenuto la promessa con me stessa e con voi a non abbandonare, sono riuscita a pensare e a scrivere Qualcosa ogni mese e voi l’avete aperta e letta. Grazie!
E allora si, scrivere una newsletter è fottutamente difficile, ma saper silenziare le voci che non mi volevano far iniziare Qualcosa, crearla, scriverla e disegnarla è stata una delle cose più belle della mia vita. Lo dico a te, che mi stai leggendo e che hai in mente una tua idea di newsletter, o di un progetto creativo: getta il cuore oltre all’ostacolo e buttati. Anche perché potrebbe succedervi che un giorno una ragazza vi dica che l’idea di scrivere una propria newsletter le è venuta leggendo la tua: AW! (grazie Serena).
Ho appena finito il monumentale (e introvabile) Dykes di Alison Bechdel ed è stato come fare un tuffo nel passato: non solo per i vari riferimenti politici degli anni 90/2000 (vi ricordate di Clinton?) ma anche perché mi ha fatto pensare ai tempi delle università, quando le case erano piene di persone che vivevano insieme e non esistevano segreti. Alcune strisce mi sono parse identiche a certe cose vissute un mucchio di anni fa (ciao Brune!).
Sto leggendo Prendila così di Joan Didion, con la traduzione di Adriana Dell’Orto, perché almeno una volta all’anno mi devo chiudere dentro la sua scrittura e solitamente mi accade quando ho bisogno di avere una scossa, di essere pungolata. Sta funzionando.
Leggerò Una minima infelicità, esordio di Carmen Verde. Un giorno mi sono trovata nel posto giusto al momento giusto e mi è stato regalato: un buon motivo direi.
Sono diventata una bimba di Apple TV, è innegabile: volevo smettere di pagare l’abbonamento ma ho desistito per Shrinking. Jimmy, interpretato da Jason Segel (Marshall in HIMYM), sta affrontando a suo modo la perdita della moglie, ma nel frattempo deve cercare di essere il padre di una ragazza adolescente e un bravo terapeuta per i suoi pazienti. Le cose vanno come vanno nella vita vera, cioè un po’ a ca*** di cane e forse proprio per questo l’ho trovata meravigliosa. Poi che c’è anche uno splendido Harrison Ford nei panni del dott. Paul Rhodes, mentore di Jimmy. Ah! La serie è stata creata, oltre che dallo stesso Segel, anche da Bill Lawrence e Brett Goldstein, che poi è il Roy Kent di Ted Lasso, di cui io sono follemente innamorata (agevolo profilo Instagram).
E ora un nuovo boxino.
Ho iniziato a fare formazione social a una libreria che voleva tanto usare il profilo Instagram senza sentirsi boomer. E io sono molto contenta e orgogliosa perché hanno già iniziato a fare delle cose molto belle e interessanti. Sto anche lavorando per trovare una nuova veste ai miei servizi di comunicazione digitale e far parlare tutte le parti che mi compongono. Voglio renderli più semplici, e soprattutto che possano rispondere a più domande.
Tu ne hai una? Scrivimi per capire se ho la risposta giusta per te.
Prima di salutarvi vorrei fare una piccola precisazione: i disegni che vedete qui oggi sono nati in questi giorni di disordine.
Un’idea ancora embrionale che ho deciso comunque di mostrarvi perché rappresenta la prova tangibile che se anche mi sento persa e mi convinco di non saper fare nulla, poi arriva qualcosa a dimostrarmi che ho torto: sono in grado eccome. E questo vale per me, ma anche per voi! Magari per il prossimo mese festeggiamo il mio compleanno con il gioco dell’opossum, chissà.
Vi aspetto! Ciao, Alice
[PS: un grazie a Valentina e Federico per essersi presi del tempo e avermi aiutata a dare più senso a questo numero di Qualcosa]