Qualcosa che dovevo dire
Cose da ricordare
Su instagram ho una rubrica che si chiama #CoseDaRicordare: la scorsa settimana la mia lista disegnata parlava di quelle cose che ci fanno paura ma che, quando troviamo il coraggio di fare, poi sono bellissime.
Cosa mi fa paura? Qualcosa, questo secondo invio e tutti i successivi. Immagino di dare forfait e lasciar perdere ma poi penso a voi che mi leggete, all’accoglienza che le avete dato e a tutte le parole che mi avete inviato. Quindi quella lista la metto anche qui, per tenerla bene a mente. E a voi che non avete dato forfait dico grazie, ma di cuore proprio.
Buona parte di questa newsletter è stata scritta tra Perugia, Roma, Lanusei e in parte anche sulla Tirrenia, nel mese di dicembre. Per dire che ci vuole tempo per smettere di avere paura. A volte riusciamo anche a progettare, a creare, a scrivere ma poi passano i mesi prima di avere il coraggio di muovere quel passo lì, verso il fuori. Poi succede eh, ma ci vuole pazienza.
Vi ho già raccontato di come sia arrivata all’idea di scrivere questa newsletter, ma non ho raccontato proprio tutto tutto. Se sono qui è si per tutti quei motivi lì, ma è anche vero che la spinta più grande è arrivata dalla mindfulness. Se avete fatto una smorfia di fastidio non vi biasimo, è successo anche a me. La prima volta che ne ho sentito parlare, all’incirca sei anni fa, ho fatto la stessa smorfia, etichettandola immediatamente come una di quelle cose da freakettoni ripuliti, pensando che, tsk tsk, non mi ci sarei avvicinata mai nella vita.
Sull'essere forti e altre faccende
Dall’adolescenza in poi la mia persona ha lavorato per fare in modo che tutti mi vedessero come una persona forte e decisa. A ciò si aggiunge che sono sarda, scorpione e spesso i miei pensieri vengono fuori dalla bocca senza filtri. Le persone attorno a me hanno iniziato a confermare questa mia caratteristica, e io non ho mai smentito. Più gli anni passavano, insieme alle bottarelle della vita, più io iniziavo a pensare che si trattava di una farsa e non sarebbe durata a lungo.
Quando sono diventata madre, una rivoluzione meravigliosa e terribile insieme, ho iniziato a creparmi un po’, come un vaso di terracotta lasciato al sole. I mesi scorrevano e iniziavo a comprendere che voler essere persone forti a tutti i costi non sempre è un bene. A volte dobbiamo darci il permesso di essere fragili, piangere se ci va e chiedere aiuto se ne abbiamo bisogno. Poi pian piano mentre sistemavo le mie crepe come una vecchina giapponese, si è messo in mezzo il 2020.
Come tante persone ho vacillato e mi sono sentita messa al muro. Se ripenso a quel periodo sento subito il peso al petto che ha caratterizzato quei mesi in quarantena e anche quelli successivi: ora quel peso lo immagino come Kitty Dukakis, la gattona viola di Big Mouth e dello spin off Human Resources e ringrazio Nick Kroll e Andrew Goldberg per avermi dato un’immagine più leggera.
Tutti i programmi che avevo fatto per riprendere in mano la mia vita erano saltati. Che fare? Ho accettato la mia fragilità e sono andata a braccio. Ho fatto scorrere il tempo senza fare e mi sono strafatta di contenuti. Tra i profili scoperti in quel periodo su Instagram c’è quello di Rachele Ceschin, psicoterapeuta e specialista Mindfulness: è bastata la sua voce soffice e calma, la sua gentile disponibilità a convincermi che forse forse avevo giudicato troppo presto la mindfulness. Ho partecipato alle sue “dirette meditative” e pian piano mi sono messa in ascolto del mio corpo e dei segnali che mi stava inviando. Continuavo, però, ad avere la sensazione che mi mancassero dei pezzi: sapevo poco di quel mondo fatto di pratiche e qui e ora, e continuavo a chiedermi se non stessi sbagliando qualcosa.
A settembre 2021 ho chiesto al mio amico Ulisse se poteva aiutarmi. Era stato proprio lui a parlarmene quella prima volta, sei anni fa: mi raccontava di aver iniziato il master per diventare istruttore e io storcevo la bocca. Mi sono talmente ricreduta su quel giudizio insensato che alla fine l’ho convinto (o costretto?) a far partire il suo primo protocollo MBSR (mindfulness based stress reduction) e per due mesi ogni lunedì sera mi sono ritrovata in una stanza insieme ad altre 7 persone a meditare, respirare, ascoltare.
E ho trovato la mia dimensione: la mindfulness ti chiede pochissimo, non ti costringe a essere spirituale, ti insegna a stare nel tuo presente e a non giudicarti.
Quando Ulisse ci ha chiesto di comprendere il motivo per cui avevamo deciso di intraprendere quel percorso, la mia voce interiore ha subito alzato la mano come la prima della classe urlando “per stare meglio!” Ma durante la meditazione ho capito che non era tutto lì: mi serviva anche uno spazio dove stare da sola, con me stessa. Perché un altro lascito della maternità è una specie di senso di smarginatura, per dirla alla Ferrante: diventi altro, ti dimentichi la persona che eri prima di diventare madre e tieni tutto insieme, tranne te stessa.
Qualcosa sulla Mindfulness
In quei due mesi di mindfulness ho fatto spazio, ordine, pulizia e ho rifatto conoscenza con me, quella senza etichette (madre, moglie, figlia, sorella, amica): io, solo io. Mi sono ascoltata tantissimo senza averne paura. Un giorno mentre praticavo e seguivo il flusso dei pensieri senza perdermi, ho capito che questa newsletter si sarebbe chiamata Qualcosa. E siccome sapevo come chiamarla, aveva un nome tutto suo, non potevo aspettare ancora.
Per me la mindfulness non è stata la risposta ai miei problemi ma uno spazio sicuro dove risolvere parte di quei problemi. Ogni persona sa il fatto suo e sa cosa funziona oppure no. Cambiare idea (quanto è liberatorio?) sulla mindfulness per me è stata la risposta giusta nel momento giusto, e fare un protocollo MBSR è stata un’esperienza davvero importante.
Se vi è venuta un pò di curiosità e vi va di capire qualcosa in più sulla mindfulness Ulisse attiverà il prossimo protocollo dopo l’estate.
Nel frattempo potete scrivergli e entrare in contatto con lui: ulisse.poggioni@gmail.com.
Ho appena finito La rabbia, una raccolta a cura di Valerio Bindi e Luca Raffaelli dove 11 fumettistз, che arrivano dal Festival Crack!, raccontano la rabbia generazionale delle persone nate tra la fine degli anni 70 e i primi del 90. Ci trovate Zerocalcare, Ratigher, Bambi Kramer, Tso, Sonno e altrз. Da un po’ mi interrogo sul sentimento della rabbia e questa raccolta è stata un valido spunto, direi.
Sto leggendo Olive Kitteridge di Elizabeth Strout, con la traduzione di Silvia Castoldi. Dopo essermi fatta coccolare da Mi chiamo Lucy Barton, in tantз mi hanno consigliato di andare a conoscere anche Olive. Procedo a rilento, ma credo sia colpa della primavera.
Leggerò Maus di Art Spiegelman perché non l’ho ancora letto. Dovrei sentirmi in colpa perché è una delle graphic novel più famose al mondo? Forse, ma anche no, dai. Sul mio blog c'è un pezzo che parla anche di questo e quindi sarò ben felice di leggere Maus a quasi 40 anni. Senza vergogna.
Lo avrete capito: per me cambiare idea e esserne consapevoli (perché c’è anche chi cambia idea e nega di averlo fatto) è bellissimo. E se c’è qualcosa che mi ha fatto cambiare idea e battere il cuore è la serie The Office, che con molta probabilità avrete già visto tuttз. Come sempre arrivo tardi sulle cose, lo so, ma quando qualche giorno fa ho finito tutte le 9 stagioni ho pensato che andava benissimo così. L’ho iniziata perché Matteo di Strategie Prenestine ne parlava in continuazione. Ho ceduto ma per quasi tutta la prima stagione ho avuto sulla faccia la stessa smorfia di cui sopra, e in aggiunta ho odiato profondamente Michael Scott: è il manager della sede di Scranton (Eletric city, cit.) della Dunder Mifflin, azienda che vende carta, ma è anche Steve Carell. Ringrazio di essermi costretta ad andare avanti: ho amato tutto, e le ultime due puntate mi hanno fatto piangere come avrebbe pianto Michael Scott, per me il personaggio più fastidioso mai conosciuto e che adesso vorrei come testimone di nozze. Non mi era mai capitato che in una serie tutto finisse come avevo sempre desiderato, e tutto andasse al posto giusto. That's what she said!
Se i pappi del pioppo non ci uccideranno tutti, seppellendoci sotto una lanetta bianca, Qualcosa tornerà a giugno.
Se questa newsletter ti ha fatto venire in mente qualcosa che vuoi raccontarmi, sarei felicissima di leggerti.
Alice