Ho da poco capito una cosa: io piango alle manifestazioni.
Sto cercando di ricordarmi se questa faccenda è iniziata alla prima manifestazione dopo la pandemia, quella del 25 aprile nelle strade di Centocelle dove ho avuto i lucciconi agli occhi per buona parte del corteo, o se anche in quelle precedenti provassi emozioni talmente forti da farmi venire giù lacrimoni e moccio al naso.
Ho avuto la conferma di questa mia particolarità a inizio mese quando mi sono ritrovata quasi per caso alla manifestazione in sostegno della Palestina organizzata dagli studenti palestinesi romani. Ho seguito il corteo camminando lungo il marciapiede, un po’ defilata perché avevo con me i miei due cani, e all’improvviso delle voci dietro di me hanno urlato “Palestina libera!”: quando mi sono girata a guardare da chi provenisse la voce le lacrime sono salite immediatamente su e non sono riuscita a trattenerle. Erano due normalissime signore di circa 50 anni, con l’hijab, che probabilmente avevo visto altre volte in giro per il quartiere ma che mi hanno aiutata a immergermi immediatamente in una realtà a cui non avevo mai fatto caso. Quante persone, di quelle che ignorantemente definiremo arabe, e che fanno parte delle nostre comunità di quartiere provengono dalla Palestina o hanno parenti che vivono lì? In mezzo a quel corteo di un centinaio di persone ho capito che non sono poche e all’improvviso mi si è aperto un mondo, e una voragine nel cuore.
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Poi c’è stato il 25 novembre. A Roma c’era un freddo becco e una marea di donne, bambinз e uomini: è stato meraviglioso, fortissimo e soprattutto necessario per tutte noi, e per tuttз. Ci siamo finalmente sentite (e qui ci vuole il femminile sovraesteso) libere di urlare, di incazzarci, di dire la nostra senza che qualcuno ci chiedesse di abbassare la voce, di stare calme e zitte. Ed è in mezzo a quel fiume di corpi che ho capito di non essere la sola che piange alle manifestazioni. Quando il megafono ha urlato “Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce” e le voci della marea si sono unite, amalgamandosi in un’unico coro, ho subito sentito che qualcosa, un mix di gioia e rabbia, stava facendo crac dentro di me, ma allo stesso tempo mi sono accorta che la ragazza affianco - basco rosso, capelli lunghi, occhi grandi - stava già piangendo con lacrime copiose. E all’improvviso ho ritirato tutto dentro, come se mi dovessi fare forza per lei. Era un pianto di dolore, il suo: un dolore che non poteva essere contenuto, un dolore che si acutizzava quando la folla diceva “che più non hanno voce”. Il ragazzo che era con lei le massaggiava la schiena, affettuoso, in quel modo che di solito si usa per provare a calmare una crisi di panico. Il grido feroce ha continuato potente, accompagnandoci per qualche metro e lei pian piano si è calmata, tirando su con il naso, in un modo buffo e carino insieme. La mia amica Laura - con la quale condivido lo stesso potere (o maleficio, dipende dai punti di vista) di saper annusare l’aria, di accorgerci di piccole cose che accadono intorno a noi e che poche persone vedono - ovviamente aveva osservato la scena in silenzio come me. Mi ha sussurrato all’orecchio “forse ha bisogno di un fazzoletto ma non so se sia inopportuno”. E forse io non aspettavo altro che avere la spinta giusta. Ho infilato la mano in tasca, acchiappato il pacchetto e mi sono girata verso la ragazza con il basco rosso e un dolore grande, e le ho offerto un fazzoletto. Gli occhi le si sono allargati e la bocca ha sorriso, leggerissima. Prendendo il fazzoletto ha detto un grazie sommesso, a cui ho risposto con un piccolo sorriso anche se avrei voluto tanto straripare e sfondare gli argini con tutto quello che sentivo dentro e abbracciarla forte. E invece sono tornata alla manifestazione, alla rabbia e alla cura. A pensare a cosa fosse la sorellanza, e che si, alle manifestazioni si può piangere. Stacce.
Vi avevo già anticipato qualcosa nella scorsa Qualcosa ma adesso posso dirvi tutto: ho aiutato con tanta gioia
a mettere su Una figlia per amica, la sua newsletter memoir dove racconterà le relazioni tra figlie e madri, con rimandi che vanno da Elsa Morante ad Amy Sherman-Palladino, da Virginia Woolf a Carrie Bradshaw, da Alba de Céspedes a Greta Gerwig.Quando ho letto il primo numero sono rimasta davvero meravigliata dalla scrittura di Serena: mi ha trascinata immediatamente dentro al suo mondo armadio (spoiler), abbracciandomi e lasciandomi in lacrime. Il mio aiuto però non è stato solo tecnico: mi sono immersa nelle sue parole e le ho fatte mie, le ho trasformate in disegni, immaginando il mondo di Una figlia per amica. Disegnare per Serena mi ha anche salvata da giorni pesanti in cui i miei occhi non riuscivano a riposarsi dalla bruttura e dal dolore della guerra: occhi, bambole, abiti e tazze erano diventate il mio rifugio. E riguardando le illustrazioni vedo tutto questo ma anche l’intesa che c’è stata subito tra noi, le connessioni che siamo riuscite a mettere su, pur non essendoci mai viste di persona. Il primo numero arriva il 4 dicembre: ti consiglio di iscriverti.
Ho appena finito Trilogia esplicita di Fumettibrutti che la mia mamma mi ha regalato a sorpresa per il mio compleanno (il 5 novembre, ve lo dico, così, per il prossimo anno): che bomba!
Sto leggendo Maniac di Benjamín Labatut, con la traduzione di Norman Gobetti, perché è il libro del mese di Strategie Prenestine. Vado a rilentissimo ma mi dicono che mi stupirà e quindi resisto.
Leggerò L’invincibile estate di Liliana di Cristina Rivera Garza, con la traduzione di Giulia Zavagna: una storia vera, un memoir che Cristina ha scritto per affrontare il lutto della sorella Liliana, vittima di femminicidio.
Mi sono sparata in poco meno di due giorni I am not okay with this che ha lo stesso regista di The End of the F***ing World e gli stessi produttori di Stranger Things: abbiamo la tipica ragazza diciassettenne un pelo sfigata e per niente popolare, talmente normale da essere noiosa fino a quando non scopre che può far uscire il sangue dal naso a chi gli sta sulle ovaie, spostare oggetti e romperli. Si, è una supereroina potentissima ma non sa cosa farci. Ve l’ho detto che è tratta da una graphic novel? Indovinate chi la vuole leggere tantissimo?
È ancora novembre, ve? Fiu! Ce l’ho fatta a non bucare, yuppie!
Beh, ora vado a cena: tu leggimi quando puoi e scrivimi se anche tu piangi alle manifestazioni. Grazie.
Ci si becca a dicembre!
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Qualcosa è gratuita ma richiede davvero tanto lavoro. Se ti va puoi lasciarmi una piccola o grande offerta per sostenere questo progetto e il lavoro che c'è dietro offrendomi un caffè o un tramezzino. Grazie.
(Sì. Quest'anno pioveva e un po' si confondeva)
Io mi ricordo ancora certi sit-in del liceo davanti al ministero della pubblica istruzione, eravamo molto più spensierate ma ci credevamo, eravamo insieme e questa cosa mi commuoveva. Adesso il pianto durante le manifestazioni ha la potenza delle cose mature e consapevoli, non si può arrestare e va bene così. Durante questo numero ho pianto praticamente tutto il tempo, ovviamente. Grazie di tutto!