La mia prima vera conoscenza della morte è stata a 12 anni circa, con la morte di mio nonno Nino. Non ricordo di aver pianto ma di essere entrata immediatamente in una sorta di trance, fatta di incredulità e di incapacità a comprendere il vero e reale significato di cosa sarebbe poi accaduto. Se penso al giorno del funerale, oltre a ricordarmi il fastidio provocato dalla parola condoglianze, mi vedo sdraiata sul divano verde acqua dei miei nonni completamente attonita e intossicata, con lo stomaco chiuso e un senso di nausea perpetuo, mentre vari adulti - conosciuti e no - si aggirano per il salotto a chiacchierare del più e del meno, sbocconcellando del cibo. Ora so benissimo che quella lì era anche la mia prima conoscenza con l’ansia. Quella volta ha risolto tutto un semplice canarino, e poi il tempo, certo.
Prima di allora avevo sentito parlare di morte, ma non ne avevo mai avuto una conoscenza diretta. Era soprattutto mia madre ad avermene parlato. Almeno una volta l’anno, quando ero bambina, portava me e mia sorella al cimitero a prenderci cura di chi non c’era più, munite di mazzi di crisantemi, a pulire lapidi e fotografie dalla polvere. Spesso con noi c’era anche mia nonna materna, Cenza. Vivevo quelle giornate come qualcosa di speciale, una sorta di rito che facevamo tutte insieme, noi femmine.
Andavamo da Nonno Michele, e poi dai miei bisnonni. A me piaceva andare a prendere l’acqua, occuparmi dei fiori, buttare quelli secchi, infilare nel vaso quelli nuovi. Poi, osservavo mia madre togliere la polvere dalla foto del padre: è un ricordo che ho nitidissimo ancora oggi, perché aveva una cura diversa dal solito, un modo di fare lento e misurato che le vedevo solo lì, in quel luogo. Poi quando avevamo finito, passeggiavamo tra i vari piani, perdendoci tra spazio e tempo e ci raccontava le storie di chi non c’era più: indicava la foto, a volte la toccava accarezzandola e diceva chi era, come era successo, cosa era accaduto poi.
Sembrerà strano ma ricordo quasi tutto di quello che mi raccontava, anche se oggi nel cimitero del mio paese sono cambiate molte cose: i miei bisnonni non ci sono più, nonno Michele è stato spostato, nel frattempo si sono aggiunti i miei nonni paterni, e perdendosi tra i vari piani, adesso, si notano molte, troppe facce conosciute.
Non so bene quando, e come e perché, ma a una certa quel rito femminile di cura non c’è stato più. Abbiamo smesso di visitare morti e cimitero, abbiamo smesso di parlarne. E più diventavo grande, più la morte diventava un tema, un pensiero da evitare. Ho iniziato anche a provare una sorta di senso di colpa nei confronti di chi non aveva più un genitore, o perso qualcunǝ di caro.
Poi nella mia vita è arrivata Lila e la morte è diventata un pensiero costante. Lo è stato durante la gravidanza, alla sua nascita, e poi ogni giorno da allora. Mi sono fatta sopraffare da questo pensiero numerose volte, poi, grazie anche alla terapia, ho deciso di provare a normalizzarlo. Come? Parlandone, soprattutto con lei: non la tengo all’oscuro, non le racconto bugie, la lascio essere curiosa e libera di farmi e farci domande su chi non c’è più, sperando di evitarle il senso di colpa e che tutto questo parlare l’aiuti, un giorno.
A Natale, infatti mi ha chiesto di poter visitare il cimitero del mio paese: voleva vedere come era fatto, e vedere i miei nonni. Ci siamo perse tra i ricordi e tra quelle stesse storie che mi aveva raccontato mia madre. Lila se ne andava in giro tra le tombe e i cipressi, a fare domande e a sistemare i vasi che erano caduti a terra a causa del forte vento dei giorni precedenti. Le ho visto mettere in atto una cura tutta nuova che mi ha ricordato quella di mia madre in quelle giornate rituali. E per un attimo ho sentito di nuovo l’odore dei crisantemi, e visto un filo invisibile che ci legava tuttз, vivз e mortз.
Cosa sto facendo? Cerco di riprendere in mano un po’ di cose che in questi mesi ho messo da parte per il lavoro. E cercando cercando alla fine sono riuscita finalmente a pubblicare una nuova e scoppiettante puntata di Illustrami: l’illustratrice costretta a rispondere alle mie numerose domande stavolta è
! Non vedevo l’ora di averla come mia ospite e sono molto felice sia la persona con cui far ripartire la mia rubrica. Andate a leggere e iscrivetevi a .Sul fronte lavorativo accadono cose che presto vi racconterò. Nell’agenda di febbraio rimangono degli spazietti: se vi piacerebbe lavorare con me è questo il momento giusto per scrivermi.
Ho appena finito Go Go Monster di Taiyo Matsumoto, un manga bello cicciotto che mi ha consigliato Serena Dove, la libraia di Risma con delle pagine davvero mozzafiato: la storia è quella di Yuki, un bambino che vede degli esseri non troppo carini, che pare vogliano fargli del male. Nessuno gli crede, nessuno lo prende sul serio, anzi. Le uniche persone che lo ascoltano sono un vecchio custode, il suo compagno di banco e un ragazzo con in testa una scatola di cartone. B e l l i s s i m o.
Sto leggendo Notte di battaglia di Miriam Toews, con la traduzione di Maurizia Balmelli: questo è il secondo tentativo che faccio, e non perché il libro non mi piaccia ma è come se facessi resistenza per qualche strano motivo. Parla di una nonna pazzerella e di sua nipote Swiv, che forse è ancor più pazzerella di lei. L’ho proposto per la parola LISTA a
Leggerò Palestina di Joe Sacco: non credo ci sia bisogno di dire perché.
Visto il tema di questa puntata direi che parlare della serie Carol e la fine del mondo ha senso, tanto senso. La Terra sta per essere colpita da un asteroide / corpo celeste / pianetone verde acqua di nome Kepler 9C e la gente ovviamente ha iniziato a dare di matto, per lo più cercando se stessa, e facendo finalmente quello che avrebbe sempre voluto fare (tipo praticare il nudismo, tra tutte). L’unica che invece no, non sa proprio che fare è Carol, una donna dalla vita vuota e solitaria fino a quando… ah, no, non ve lo dico: sta su Netflix, vedetela.
Qualcosa è una newsletter personale, ormai lo avrete capito, che cerca di parlare a tuttз, e anche per questo mi sono interrogata se scrivere o no questa puntata. Non è stato facile. Ma Qualcosa prende vita da ciò che mi si appiccica addosso, mi pungola: quel qualcosa, ecco, è il mio sguardo. E il tema di questa puntata si era adagiato sul fondo dell’acqua da un po’ e io continuavo a osservarlo: dovevo farlo emergere.
Se volete scrivermi qualunque cosa vi sia venuta in mente leggendomi, fatelo qui.
Vi leggo (e rispondo) sempre volentieri.
Un’ultima cosa! Voglio ringraziare tutte le persone che negli scorsi mesi mi hanno generosamente offerto un caffè. Ancora grazie di cuore a: Corinna, Marta, Alessandra, Costanza, Federico.
Ci rileggiamo a metà febbraio con l’edizione Piccola. Ciao ciao!
Qualcosa è gratuita ma richiede davvero tanto lavoro. Se ti va puoi lasciarmi una piccola o grande offerta per sostenere questo progetto e il lavoro che c'è dietro offrendomi un caffè o un tramezzino. Grazie.
Io sono ossessionata dalla morte, ma se lo dico pubblicamente (eccomi) sembra che io stia vivendo un brutto periodo, le persone si fanno tristi o scappano. Eppure pensare alla morte è pensare alla vita. Grazie per averne scritto ♥️
Bellissima questa newsletter. Mi piace tantissimo lasciarmi avvolgere e condurre dalla tue storie.
Grazie perchè spesso attraverso i tuoi racconti mi tornano ricordi. E anche oggi è stato così.
Come da suggerimento in fondo alla newsletter condivido con te inviandoti una email alcune riflessioni che mi hai piacevolmente lasciato. Ti abbraccio.